Via Pietro Giannone, quartiere Trionfale. Con “Mazzini” uno
dei luoghi storici della sinistra al di là del Tevere. Ricordo la grande sala e
il corridoio gonfio di gente e di rancore nell’89 quando il Pci si stava
sciogliendo. Mozione 1, mozione 2 e mozione Bassolino. Sì ce n’era anche una
chiamata con quel nome, da non crederci. E comunque roba di cento anni fa. Ora
la coabitazione fra PD e SEL sembra svolgersi con tranquillità e amicizia,
forse troppa visti i risultati.
Oggi tocca a SEL leccarsi le ferite.
Diamo uno sguardo alla sala e al relatore che ha già preso
posizione. Una trentina di persone, forse qualcuna in più. Qualche giovane
mischiato fra persone della nostra età. Non avverti che lì dentro passi l’aria
speciale del rinnovamento, la rabbia che può sfociare in qualche cosa di nuovo.
Il dibattito, lo scontro, la modifica della realtà consolidata sono fuori da
quelle stanze. Del resto anche noi siamo andati per sentire, per annusare
l’aria. Siamo i primi a non credere che ne possa uscire qualcosa.
Ma in generale non mi sento rassegnato, tutt’altro. Anzi,
per la prima volta da molti anni mi scapperebbe di fare qualcosa, di buttarmi
nella mischia, di riprovare. Posso solo dire che non si tratta di ribellione.
Non sento questo tipo di spinta. Avverto solo l’umiliazione per essere rimasto
indietro rispetto agli sviluppi della società. Lentamente sono uscito dalla
modernità e insieme ad altri milioni di persone che sono tuttora una risorsa
per la civiltà del paese sono scivolato nel vecchio e nella testimonianza del
passato.
A chi mi dovrei ribellare? A Bersani e a Vendola? Fanno
quello che possono, quello che sanno fare, quello che hanno fatto per tutta la
vita. Ho fame di altre cose: di analisi nuove sulla società e sugli strumenti
da usare per cambiarla, di idee che sappiano ricostruire un pensiero
alternativo fuori dalle trovate strampalate di qualche intellettuale futurologo
e di qualche abile comico postmoderno, che maneggia con genialità il malessere
di una società in declino.
Sento molto acuto il desiderio di rinnovarmi, di stare
all’altezza. Sono convinto che quando uno invecchia come me deve avere questo
come principio: rimanere dentro i processi di cambiamento e che questo e solo
questo lo può aiutare a vivere bene. Dunque niente ribellione. Piuttosto tirare
le conseguenze di quello che si è sempre pensato. Non c’è stato nessun momento
nel quale abbia pensato che il PD servisse a questo scopo. E allora? Perché
sono arrivato quasi a votarlo e quindi a fare il tifo per il suo segretario?
Ecco, uscire da questa contraddizione, solo questo …
Aspetto la fine di un intervento per non essere scortese con
il compagno tutto infervorato e me ne vado mentre Celeste resta a sentire.
Uscito dalla sezione corro lungo via Andrea Doria. Cerco di fare in fretta per
perdermi il meno possibile di Stoccarda-Lazio, ottavi di finale di Europa
League.
(Marco)
SEL, a cui pure ho dato un voto convinto, non è il mio
partito. Il PD, a cui pure in questi mesi ho dato un credito che mai avevo dato
in passato, non è il mio partito. Semplicemente il mio partito non c’è. Né è
pensabile – e forse nemmeno desiderabile – che ci sia in un prossimo futuro.
E mi manca … Mi manca un luogo, il luogo dove trovare i miei
uguali con cui consolarmi e litigare. Mi trovo così a scoprire in me pezzi di
lutto non ancora pienamente elaborato, a un quarto di secolo di distanza.
Eh sì, perché un senso di perdita così grande, così personale, l’ho forse provato solo al
tempo della fine del Pci.
Quei tempi lì erano però anche tempi bellissimi. Tempi di
battaglia, di comunità, di condivisioni, di grandi scontri, di relazioni e
legami forti …
Questa qui invece è una sconfitta solitaria e cupa. Ti passa
sopra e ti umilia, ti mette fuori dai giochi. Non credo sia un caso se Marco e
io – a parte la puntata non molto significativa all’assemblea di SEL – a due
settimane di distanza ne abbiamo sostanzialmente parlato solo fra noi. Ancora
nessuna occasione di confronto con gli altri, nemmeno con gli amici più soliti
e cari.
(Celeste)