domenica 10 marzo 2013

Partiti


Via Pietro Giannone, quartiere Trionfale. Con “Mazzini” uno dei luoghi storici della sinistra al di là del Tevere. Ricordo la grande sala e il corridoio gonfio di gente e di rancore nell’89 quando il Pci si stava sciogliendo. Mozione 1, mozione 2 e mozione Bassolino. Sì ce n’era anche una chiamata con quel nome, da non crederci. E comunque roba di cento anni fa. Ora la  coabitazione fra PD e SEL  sembra svolgersi con tranquillità e amicizia, forse troppa visti i risultati.
Oggi tocca a SEL leccarsi le ferite.
Diamo uno sguardo alla sala e al relatore che ha già preso posizione. Una trentina di persone, forse qualcuna in più. Qualche giovane mischiato fra persone della nostra età. Non avverti che lì dentro passi l’aria speciale del rinnovamento, la rabbia che può sfociare in qualche cosa di nuovo. Il dibattito, lo scontro, la modifica della realtà consolidata sono fuori da quelle stanze. Del resto anche noi siamo andati per sentire, per annusare l’aria. Siamo i primi a non credere che ne possa uscire qualcosa. 
Ma in generale non mi sento rassegnato, tutt’altro. Anzi, per la prima volta da molti anni mi scapperebbe di fare qualcosa, di buttarmi nella mischia, di riprovare. Posso solo dire che non si tratta di ribellione. Non sento questo tipo di spinta. Avverto solo l’umiliazione per essere rimasto indietro rispetto agli sviluppi della società. Lentamente sono uscito dalla modernità e insieme ad altri milioni di persone che sono tuttora una risorsa per la civiltà del paese sono scivolato nel vecchio e nella testimonianza del passato.
A chi mi dovrei ribellare? A Bersani e a Vendola? Fanno quello che possono, quello che sanno fare, quello che hanno fatto per tutta la vita. Ho fame di altre cose: di analisi nuove sulla società e sugli strumenti da usare per cambiarla, di idee che sappiano ricostruire un pensiero alternativo fuori dalle trovate strampalate di qualche intellettuale futurologo e di qualche abile comico postmoderno, che maneggia con genialità il malessere di una società in declino.
Sento molto acuto il desiderio di rinnovarmi, di stare all’altezza. Sono convinto che quando uno invecchia come me deve avere questo come principio: rimanere dentro i processi di cambiamento e che questo e solo questo lo può aiutare a vivere bene. Dunque niente ribellione. Piuttosto tirare le conseguenze di quello che si è sempre pensato. Non c’è stato nessun momento nel quale abbia pensato che il PD servisse a questo scopo. E allora? Perché sono arrivato quasi a votarlo e quindi a fare il tifo per il suo segretario? Ecco, uscire da questa contraddizione, solo questo …      
Aspetto la fine di un intervento per non essere scortese con il compagno tutto infervorato e me ne vado mentre Celeste resta a sentire. Uscito dalla sezione corro lungo via Andrea Doria. Cerco di fare in fretta per perdermi il meno possibile di Stoccarda-Lazio, ottavi di finale di Europa League.
(Marco)

SEL, a cui pure ho dato un voto convinto, non è il mio partito. Il PD, a cui pure in questi mesi ho dato un credito che mai avevo dato in passato, non è il mio partito. Semplicemente il mio partito non c’è. Né è pensabile – e forse nemmeno desiderabile – che ci sia in un prossimo futuro.
E mi manca … Mi manca un luogo, il luogo dove trovare i miei uguali con cui consolarmi e litigare. Mi trovo così a scoprire in me pezzi di lutto non ancora pienamente elaborato, a un quarto di secolo di distanza.
Eh sì, perché un senso di perdita così grande, così personale, l’ho forse provato solo al tempo della fine del Pci.
Quei tempi lì erano però anche tempi bellissimi. Tempi di battaglia, di comunità, di condivisioni, di grandi scontri, di relazioni e legami forti …
Questa qui invece è una sconfitta solitaria e cupa. Ti passa sopra e ti umilia, ti mette fuori dai giochi. Non credo sia un caso se Marco e io – a parte la puntata non molto significativa all’assemblea di SEL – a due settimane di distanza ne abbiamo sostanzialmente parlato solo fra noi. Ancora nessuna occasione di confronto con gli altri, nemmeno con gli amici più soliti e cari.
(Celeste)

sabato 9 marzo 2013

Il Presidente


Di Giorgio Napolitano ho un lontano ricordo. 1984: Giorgio è capogruppo del Pci alla Camera. Contro il parere di buona parte del partito (ricordo Natta parlare con la sua sottile ironia di “eccessivo senso della responsabilità”) salva Giulio Andreotti implicato nel caso Sindona. Il Pci alla Camera si astiene su ordine di Napolitano. Chiamiamo Giorgio in sezione e lo attacchiamo da tutte le parti. Nel mio intervento chiedo le sue dimissioni per collusione e lui mi guarda senza rancore come se lo avessi invitato a discutere del prolungamento della riunione. Un amendoliano pacato e gentile, un liberale che sarebbe rimasto tale per tutta la vita. Se a quel tempo ci avessero detto che sarebbe diventato Presidente della repubblica saremmo rimasti senza fiato.
Da Presidente mi ha fatto molto spesso incazzare (proroga concessa a Berlusconi dandogli tutto il tempo di riorganizzarsi, il governo Monti, i tecnici, ecc.) ma devo dire che mi sono sentito quasi sempre rappresentato. Bazzicava le nostre sezioni beccandosi spesso le critiche dei militanti per i suoi atteggiamenti “pacati” soprattutto nei confronti dei socialisti. Eravamo convinti che fosse il figlio di Umberto di Savoia, ma era pur sempre uno dei nostri …
(Marco)

Napolitano in sezione (era la stessa volta?) lo ricordo soprattutto noioso. Così noioso che, forse provata da una lunga giornata di lavoro e famiglia,  facevo fatica a non addormentarmi. Oggi il mio nipotino dodicenne mi guarda attonito quando gli dico che se lo dovessi incontrare – non che sia molto probabile – gli darei del tu.
(Celeste)

Diretta streaming


Cosa spinge due anziani coniugi, più o meno a cavallo dei settanta, a trascorrere un’intera giornata (data 6 marzo 2013), mentre svolgono in giro per Roma le loro abituali attività di pensionati/nonni, senza mai smettere di ascoltare in diretta la direzione del Partito Democratico? I due non sono – né sono mai stati - politici di professione, non sono iscritti a nessun partito (men che mai al PD per cui non hanno mai votato, sempre preferendo la sinistra del centro sinistra) e pensavano forse che altri tranquilli interessi avessero sostituito, in vecchiaia, l’antica passionaccia politica.
Lei si interroga sul perché di questa angosciata “ossessione” che ha invaso il loro quotidiano. Lui non se ne stupisce più di tanto; è, dice, la nostra vita, ciò che siamo e ciò di cui sappiamo.
Da questa domanda e da questa risposta nasce l’idea di questo blog. Un quasi-diario della sconfitta, incrociato con frammenti di un’autobiografia tutta attraversata dalla politica.
Per fare – come si diceva una volta – un po’ di autocoscienza, dato che è noto che scrivere e narrarsi può servire a lenire il dolore. Altri obiettivi – più ambiziosi – sono ancora fumosi. Come, d’altronde, fumosa e confusa è la situazione.
(Celeste)

Con Celeste, nonostante gli impegni di nonni, ci sintonizziamo sulla direzione del PD e ci sentiamo tutti gli interventi. Questo è discreto, questo è insulso, quest’altro è un po’ meglio. Dirigenti che cercano di reagire, ma il risultato non sembra trascinante. E’ un partito colpito che imbarca acqua, che non ha una linea. Qualche scossa salutare con l’intervento di Walter Tocci che esordisce con il dire che bisogna fare un ragionamento tutto diverso, che il Pd non ha ottenuto i risultati che si prefiggeva e che dunque bisogna fare tutta un’altra cosa, anche di questo partito.
(Marco)

Questa strana maratona radiofonica fa tornare alla mente gli speciali dell’Unità sui Comitati centrali del Pci: relazione del segretario, sintesi degli interventi, conclusioni. Leggevamo tutto appassionatamente, esperti nell’interpretare il detto e il non detto e nell’individuare i sottotesti nascosti.
Ritrovare questo copione ben noto probabilmente ci rassicura. Ci muoviamo su un terreno conosciuto: certo non è il nostro partito, ma è pur sempre partito, una bestia con cui ci viene naturale misurarci.
Comunque: stanche e sciatte le conclusioni di Bersani. Sembra proprio che Bersani, privato del ruolo di calmo traghettatore verso una vittoria scontata, non abbia le qualità del leader capace di guidare su strade nuove. Non che sia una sorpresa.
(Celeste)